Viaggio etnogastronomico in Colombia, tra ricette millenarie e tutela degli ecosistemi
Chef, locali, mercati danno vita a un atlante culturale del cibo, che valorizza anche le comunità indigene, fra Bogotà e i suoi dintorni
di Fernanda Roggero
3' di lettura
Curuba, Granadilla, Maracuyá, Gulupa, Feijoa, Guatila, Corozo. E la lista potrebbe continuare. Qui la biodiversità non è aspirazione, ma pratica quotidiana a colazione. Bogotà, Colombia. Il lungo tavolo di Mini-Mal, delizioso bistrot in cui Eduardo e Antonuela tracciano la geografia gastronomica e botanica del paese, è colmo di questi frutti - le varietà nel Paese sono oltre 400 - alcuni sconosciuti anche ai più avvertiti cultori delle specialità andine e amazzoniche.
Per i palati dei turisti “normali” è semplicemente una gioiosa rincorsa di nuovi sapori, ma dietro c’è un esercizio di ricerca certosino. La capacità di fotografare il mix sorprendente di culture e tradizioni del Paese ha innalzato la nuova cucina colombiana ai vertici internazionali. Orgoglio, consapevolezza e identità passano anche da un Tamal, il tipico stufato avvolto in foglie di banana, o un Ajiaco, la zuppa consumata in ogni casa bogotana. E il cibo è una formidabile chiave per avvicinarsi a conoscere questo Paese, restato a lungo fuori dai radar del turismo internazionale per effetto delle turbolenze politiche e i decenni di tormenti guerriglieri.
Oggi la Colombia è rifiorita ed è meta di scoperta per gli stessi residenti, con la sua varietà geografica sorprendente, dalla cristallina costa caraibica di Cartagena agli altopiani centrali, dalla giungla amazzonica ai picchi delle Cordigliere, passando per le foreste tropicali e le vaste piantagioni di caffè.
Tuffo nel passato
Bogotà ti accoglie con l’aria fina dei suoi 2.640 metri di altitudine, ti fa sentire a casa nei quartieri coloniali della Candelaria, il centro storico lastricato, ti abbaglia con la preziosità dei reperti custoditi nel Museo dell’Oro, si apre allo sguardo dall’alto di Monserrate, l’eremo che domina la città e si raggiunge in cabinovia.
Quella vaga vertigine che ti coglie appena superata l’uscita dell’aeroporto sparisce dopo qualche sorso di succo di foglie di coca (nulla a che fare con gli effetti stupefacenti): prima di perdersi nei vicoli pittoreschi della Candelaria, agguantando un’arepa, focaccina della prima colazione, è d’obbligo la visita al Museo dell’Oro, dove è esposta la più ampia collezione al mondo di manufatti di epoca pre-colombiana, e un’incursione al teatro Colón, costruito in stile neoclassico dall’italiano Pietro Cantini nel 1885. L’immersione nel passato coloniale si completa con un caffè nell’attiguo Hotel de la Opera, fascinosa dimora storica.
Gastronomia come bussola
Un percorso che si dipana lungo le vie del cibo può essere una buona bussola per scoprire Bogotà, città in perenne clima temperato ma con continui rimbalzi tra nuvole, pioggia e sole. Nel centro storico un indirizzo sicuro è Prudencia, antica scuola materna dove Mario e Meghan cucinano su un forno affumicatore nel piccolo giardino che ospita anche un orto di erbe officinali. Harry Sasson è il Gualtiero Marchesi nazionale, colui che ha aperto nel Paese la via del fine dining: sono leggendari i suoi Tamales con mais e fagioli e il burro prodotto con il latte delle sue mucche d’altipiano. Ogni anno, inoltre, organizza un Festival gastronomico con grandi chef stranieri per sostenere le famiglie dei poliziotti caduti durante gli anni di piombo. La giovane leva è rappresentata da Jaime Torregrosa, che a Humo Negro propone pesci amazzonici e tapas con influenze giapponesi, e da Alvaro Clavijo, con la sua cucina contemporanea a El Chato, replicata in molti piatti del ristorante colombiano Mitù, a Milano.
La miglior sopa dulce si gusta però a Gachancipà, fattoria a un’ora di macchina da Bogotà e cuore del Museo contadino della regione Cundinamarca: qui Maria replica la ricetta millenaria mescolando con pazienza acqua, latte, zucchero e mais. Poco lontano il Piqueteadero (da piquete, cibo in condivisione) di Carlos Gaviria, cui si deve il primo compendio della cucina colombiana: sopraffatti dalle porzioni generose, non resta che abbandonarsi ai racconti di Miguel, loquace anfitrione della Catedral de Sal, un santuario ospitato all’interno delle miniere di sale di Zipaquirà a 180 metri di profondità, «primera maravilla de Colombia», come si dice lì.
Valorizzazione delle biodiversità
Di ritorno a Bogotà una degustazione di cioccolato - rigorosamente cacao criollo, il più dolce e delicato anche in versione fondente al 90% - e caffè in tutte le sue declinazioni. Infine, l’incontro con Leo, all’anagrafe Leonor Espinoza, la cuoca - autodidatta - che ha creato la filosofia del ciclo-bioma, per la valorizzazione della biodiversità dei territori. Ma non solo. La gastronomía, come la intende Leo, è un potente strumento di sviluppo sociale ed economico per le comunità indigene: lei ne ha visitate in ogni angolo del Paese, ne utilizza i prodotti, le sostiene con la fondazione FunLeo (premiata nel 2017 dal Basque World Prize). Il suo menù è un viaggio mirabolante nei 90 diversi ecosistemi colombiani, e se siete fortunati alla fine della cena vi porterà con lei al Samper Mendoza, il mercato notturno delle erbe e delle piante medicinali, dove se ne trovano più di 300 diverse varietà.
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