I detenuti chiedono l’indulto

Violenze in carcere, Draghi: «Non può esserci rieducazione dove c’è sopruso. Serve una riforma»

Un gesto simbolico dello Stato che porta i massimi vertici istituzionali nel carcere dopo le violenze del 6 aprile di agenti di polizia penitenziaria contro i detenuti

di Nicoletta Cottone

Capua Vetere, il racconto di un detenuto: "Ci hanno massacrato dopo le proteste"

6' di lettura

«Non siamo qui per celebrare trionfi o successi, ma piuttosto per affonttare le conseguenze delle nostre sconfitte», ha detto il premier Mario Draghi parlando dopo la visita al carcere di Santa Maria Capua Vetere, visitato insieme alla ministra della Giustizia Marta Cartabia. «Venire in questo luogo oggi significa guardare da vicino, di persona, per iniziare a capire», ha scandito il premier. «Quello che abbiamo visto negli scorsi giorni - ha detto Draghi - ha scosso nel profondo le coscienze degli italiani». Il premier ha ricordato che la detenzione deve essere recupero, riabilitazione. E gli istituti penitenziari devono essere comunità. E vanno tutelati, in particolare, i diritti dei più giovani e delle detenute madri. «Le carceri devono essere l'inizio di un nuovo percorso di vita», ha ricordato il premier. E su questa strada vuole procedere il governo.

Draghi: «Non può esserci giustizia dove c’è abuso»

Il premier ha ricordato che le indagini in corso stabiliranno le responsabilità individuali. «Ma la responsabilità collettiva è di un sistema che va riformato.Il Governo non ha intenzione di dimenticare. Le proposte della ministra Cartabia rappresentano un primo passo che appoggio con convinzione.Non può esserci giustizia dove c'è abuso. E non può esserci rieducazione dove c'è sopruso». La visita al carcere è un gesto simbolico dello Stato che ha portato i massimi vertici istituzionali nel carcere dove sono state registrate le violenze del 6 aprile 2020 da parte di agenti di polizia penitenziaria contro 300 detenuti. Una risposta ferma ai pestaggi e alle aggressioni viste nelle immagini agghiaccianti dei filmati di sorveglianza. Un blitz dei carabinieri ha svelato le violenze e gli abusi dietro le sbarre. I video dei pestaggi che hanno fatto il giro del mondo sono fra la documentazione dell'inchiesta giudiziaria condotta dalla procura di Santa Maria Capua Vetere. L’ordinanza di custodia firmata dal gip Sergio Enea a fine giugno ricostruisce le violenze e gli abusi commessi all’interno del carcere. Cinquantadue le misure cautelari emesse: 8 in carcere, 18 indagati ai domiciliari, 23 interdizioni dai pubblici uffici, 3 obblighi di dimora.

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Cori e applausi per Draghi: i detenuti chiedono l’indulto

«Draghi, Draghi», hanno urlato dalle celle i detenuti della casa circondariale “Francesco Uccella” di Santa Maria Capua Vetere durante la visita del premier Draghi e della ministra della Giustizia Cartabia. Al suo arrivo il premier era stato accolto da un fortissimo applauso da parte dei detenuti e da grida. I detenuti hanno scandito forte la richiesta di «indulto, indulto».

Italia condannata due volte per sovraffollamento dalla Corte Ue dei diritti dell’uomo

Draghi ha ricordato a tutti che la Costituzione sancisce all’articolo 27 i principi che devono guidare lo strumento della detenzione: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. E a questi principi si deve accompagnare la tutela dei diritti universali: il diritto all'integrità psicofisica, all'istruzione, al lavoro e alla salute, solo per citarne alcuni. «Questi diritti - ha detto Draghi - vanno sempre protetti, in particolare in un contesto che vede limitazioni alla libertà». Il premier ha ricordato che l’Italia è stata condannata due volte dalla Corte europea dei diritti dell'uomo per il sovraffollamento carcerario. «Ci sono quasi tremila detenuti in più rispetto ai posti letto disponibili. Negli istituti campani sono circa 450. Sono numeri in miglioramento, ma comunque inaccettabili», ha detto il premier. E «ostacolano il percorso verso il ravvedimento e il reinserimento nella vita sociale, obiettivi più volte indicati dalla Corte Costituzionale. In un contesto così difficile, lavorano ogni giorno, con spirito di sacrificio e dedizione assoluta, tanti servitori dello Stato. La polizia penitenziaria, in grande maggioranza, rispetta i detenuti, la propria divisa, le istituzioni. Gli educatori assicurano le finalità riabilitative della pena. I mediatori culturali assistono i carcerati di origine straniera. I volontari permettono molte delle attività di reinserimento».

Cartabia: «Ingiustificabili violenze e umiliazioni»

La ministra della Giustizia Marta Cartabia ha ricordato che il carcere è un «luogo di dolore e di sofferenza». É un luogo di pena, ma non sia mai un luogo di violenze e umiliazione «che sono ingiustificabili». Il sovraffollamento, ha detto, è il primo e più grave problema. Ha sottolineato che «quegli atti sfregiano la dignità della persona umana che la Costituzione pone come vera pietra angolare, ha detto la ministra della Giustizia Marta Cartabia.

Servono subito assunzioni per le carceri e più formazione

Occorre procedere subito ad assunzioni nel personale delle carceri, ha detto la ministra Marta Cartabia. «Servono più fondi e più impegno nella formazione permanente», in particolare per la «polizia penitenziaria che deve accompagnare il detenuto nel percorso di rieducazione».

Ciambriello (Garante Campania): «Segnale importante la visita di Draghi e Cartabia»

«La visita del premier Draghi e della ministra Cartabia nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, ha un alto valore simbolico. La visione ’carcerocentrica’ è superata, lanciano un segnale importante. A mia memoria, nessun presidente del Consiglio è entrato in questo modo in carcere. La cosa più importante è che vengono in una porzione di territori dove ci siamo tutti, non vengono a fare i tifosi e schierarsi, entrano per ascoltare. E di questi tempi è importante», ha detto Samuele Ciambriello, garante dei detenuti della Regione Campania, all’esterno del carcere, prima della visita di Draghi e Cartabia.

Le telecamere hanno documentato le violenze

Le telecamere all’interno del carcere hanno mostrato le crude immagini delle violenze e dei pestaggi compiuti dagli agenti, l’uso dei manganelli e dei caschi per percuotere i detenuti. E gli inutili tentativi dei responsabili di nascondere l’accaduto all’esterno. Nei verbali e negli atti per gli inquirenti sono state sottoscritte situazioni molto diverse dalla realtà dei fatti. «Santa Maria non è questo, non sono queste immagini. Da quando io sono qua, e anche precedentemente, non è mai stato torto un capello a nessuno», ha detto Elisabetta Palmieri, direttrice del carcere di Santa Maria Capua Vetere, in merito alle violenze perpetrate nel carcere nell’aprile 2020. La direttrice non era presente nel carcere.

Lamorgese: «Immagini che non avrei mai voluto vedere»

«Sono immagini che non avrei mai voluto vedere», ha commentato il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, che poi ha «spezzato una lancia» a difesa della Polizia penitenziaria attaccata con striscioni, manifesti e anche sui social: «Non è giusto - ha detto - criminalizzare l'intero Corpo».

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La protesta del 5 aprile per un caso di Covid

Il giorno prima dei fatti, il 5 aprile del 2020, un gruppo di detenuti del reparto Nilo aveva organizzato una protesta per chiedere mascherine e di altri dispositivi di protezione anti Covid-19. I detenuti avevano saputo da un telegiornale che nel carcere era stato accertato un primo caso di positività al nuovo coronavirus. Dagli atti risulta che alle 20 almeno 22 detenuti non rientrarono in cella e restarono in corridoio per protestare. Alcune brande furono portate fuori dalle celle, utilizzate come barricate per impedire agli agenti di passare nei corridoi. Già nel pomeriggio alcuni detenuti avevano chiesto di incontrare i responsabili del carcere, senza ricevere risposta. Nella notte le acque si erano placate dopo la rassicurazione sulla possibilità di avere mascherine e di ottenere un colloquio con il magistrato di sorveglianza. Le barricate vennero rimosse dagli stessi detenuti. Poi il comandante della Polizia penitenziaria Gaetano Manganelli, avrebbe preparato un'informativa alla Procura con i nomi dei 12 detenuti accusati di avere fomentato la rivolta. Una relazione inviata al provveditore regionale alle carceri fornisce una versione diversa dell’accaduto e parla di minacce dei detenuti di utilizzare olio bollente nei confronti del personale, di offese e di invito ad allontanarsi, brandendo oggetti di diverso genere.

Procura: «Perquisizioni personali aritrarie»

Secondo la Procura il 6 aprile, circa 300 agenti di polizia penitenziaria del carcere ed esterni organizzarono «perquisizioni personali arbitrarie e abusi di autorità», con lo scopo di rispondere alle proteste nel reparto Nilo. Sono stati analizzati i messaggi su WhatsApp della Polizia penitenziaria di Santa Maria Capua Vetere: «Allora domani chiavi e piccone in mano». «Li abbattiamo come vitelli». «Se escono dalla celle tre cretini e vogliono fare qualcosa, ci sono i colleghi di rinforzo, saranno subito abbattuti». La perquisizione iniziò alle 15.30 del pomeriggio, con l'intervento degli agenti in diverse celle del reparto Nilo. I detenuti si dovettero mettere davanti alla propria cella, con mani e viso appoggiati verso il muro. Molti furono colpiti con schiaffi, pugni e manganelli sulle gambe e sui glutei. I detenuti vennero obbligati a passare tra due ali di agenti, che li percuotevano con pugni e manganelli. Le immagini registrate dagli impianti di sorveglianza sono terrificanti.

Identificati 15 detenuti accusati di aver opposto resistenza

Vennero identificati 15 detenuti accusati di avere opposto resistenza, da punire con un trasferimento in isolamento e l'esclusione per due settimane dalle attività comuni. Molti erano gli stessi indicati come organizzatori della protesta del 5 aprile. Un medico firmò tredici referti che segnalavano traumi «procuratisi» durante le attività di «contenimento da parte del personale della Polizia penitenziaria». Una versione diversa da quella documentata dalle telecamere a circuito chiuso. Hakimi Lamine, un algerino di 28 anni, schizofrenico, morì il 4 maggio in cella di isolamento. Ad amici, familiari e associazioni impegnate nella difesa dei diritti dei carcerati furono riferite le violenze. Vennero presentate alcune denunce e la magistratura avviò un'indagine per capire cosa era davvero accaduto nel reparto Nilo.

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Uspp, con nuovi video nuove violazioni

Il sindacato della polizia penitenziaria ha protestato per la pubblicazione dei video. «Continuano a circolare i video sui fatti del 6 aprile 2020 a Santa Maria Capua Vetere, diffusi da media nazionali e locali, sebbene trattasi di materiale acquisito durante la fase di indagini, ancora in corso - hanno dichiarato Giuseppe Moretti e Ciro Auricchio, presidente e segretario regionale dell'Unione dei Sindacati di Polizia Penitenziaria (Uspp) -. Con altrettanto sgomento abbiamo preso atto che certi quotidiani locali hanno pubblicato i nomi e le relative fotografie in uniforme degli indagati in barba al principio di non colpevolezza ed alle norme di tutela della privacy. Nel ribadire la nostra piena fiducia nell'operato della magistratura rispetto ai fatti accaduti non possiamo esimerci dal chiedere di accertare quali siano stati i canali di divulgazione di detto materiale».

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