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Zerocalcare e i tre plutrocrati thatcheriani

Il Festival Internazionale di Ferrara si è rivolto ai ragazzi che affrontano la lettura dei quotidiani per riqualificare la professione del giornalista

di Matteo Bianchi

4' di lettura

E in libreria il nuovo viaggio a fumetti di Zerocalcare, “No sleep till Shengal” (Bao 2022, pp. 208) una delle firme che caratterizzano Internazionale a Ferrara sin dalla prima edizione. Un intellettuale mansueto ma stringente come “un polpo alla gola”, figlio consapevole della periferia degradata, che al pari di Elisa Donzelli in poesia e Mario Desiati in prosa ha scelto la finzione letteraria per difendere la verità. O meglio, le incalcolabili piccole verità che ogni giorno il dominio dell'utile soffoca e sopprime, così il destino di una generazione di esodati, nati a ridosso degli anni Duemila, che assistono allo sfacelo di ogni punto di riferimento etico e valoriale, compresa la negazione dell'altro da sé, specie se “lungo i bordi”. E senza tralasciare la svalutazione delle prospettive soppiantate dal “tutto e subito”, il culto miope di un presente convulso, controverso e compromesso da pochi oligarchi.

Menzogne in cambio di verità

Se scrivere spesso significa confrontarsi con le menzogne circostanti, Zero impugna le bugie per amplificare la sofferenza di una minoranza. E renderla esemplare. Non a caso, ha puntato ancora sul graphic journalism per raccontare le discriminazioni e i soprusi subiti dalla popolazione degli Ezidi nel Kurdistan. Sebbene l'eccesso di opinionismo abbia disabituato la platea italica al giornalismo d'inchiesta, parimenti lo staff del festival si è rivolto ai ragazzi che affrontano la lettura dei quotidiani per riqualificare la professione del giornalista.

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Tanto che uno dei workshop del festival rimarcava la necessità di combattere il precariato, tutelando legalmente i giornalisti che lavorano con un codice deontologico, pretendendo il rispetto del diritto e dovere di informare ed essere informati, smascherando il conflitto d'interessi tra imprese editoriali e lobby economiche e politiche. La vocazione collettivista della manifestazione ferrarese, quanto quella di Zerocalcare, si palesa nelle funzione relazionale della scrittura. Secondo Carlo Emilio Gadda, ripreso da Calvino nella Molteplicità delle Lezioni americane (1988), “i pronomi sono i pidocchi del linguaggio”, perciò andrebbero eliminati. Ma il “noi” condiviso, la somma delle singole voci, non può essere taciuto.

La memoria del futuro

A tratti profetico, a tratti indecifrabile, risulta ancora lo stile di Italo Calvino in “Six memos for the Next Millenium”, sei memorie per interpretare il nuovo millennio, commissionategli da Harvard per interpretare il nuovo millennio, il nostro tempo. Il metodo di Calvino procede abbattendo i muri tra cultura umanistica e cultura scientifica, le barriere ideologiche e gerarchie tra gli ambiti culturali. Il suo approccio poliedrico, adottato anche da Andrea Prencipe e Massimo Sideri ne “L'innovatore rampante” (Luiss University Press 2022, pp. 91), affronta ogni concetto cominciando dal suo opposto. I due autori utilizzano sistematicamente la figura retorica dell'ossimoro e svelano una serie di riferimenti che appartengono alla genesi delle Lezioni stesse: specialmente quello alla “Grammatica della fantasia” (1973), in cui Rodari metteva in rapporto diretto due concetti agli antipodi per erigere l'idea di futuro attraverso la narrazione. “L'innovazione è un processo che richiede la coincidenza di più opposti, è multifonte e multiforme, e può essere generato dall'intuizione di un singolo come da un concerto di interessi istituzionali”, sostiene Sideri. Dunque è un fenomeno che disobbedisce a qualsiasi regola al pari dell'ornitorinco, mammifero dotato di becco che depone le uova e che svetta in copertina sulle zampe posteriori per guardare avanti.

Due secoli di capitalismo americano

“Voglio ringraziare ogni dipendente di Amazon e ogni cliente di Amazon, perché voi avete pagato tutto questo”. È stata l'affermazione quasi beffarda di Jeff Bezos al termine del suo primo volo spaziale, costato circa 5,5 miliardi di dollari, a testimoniare lo scollamento assoluto dalla realtà che i cosiddetti “Gigacapitalisti” (Einaudi 2022, pp. 152) di Riccardo Staglianò, quali Bezos, Musk, Zuckerberg e il resto degli ultraricchi esibiscono beatamente. Purtroppo è risaputo che i sottoposti del megastore online siano pagati poco sopra la sopravvivenza, specie negli Stati Uniti, dove i sindacati sono entrati solo di recente nei suoi magazzini. “E invece di ringraziarli in mondovisione – incalza il giornalista – avrebbe potuto incrementare concretamente il benessere dei suoi dipendenti e, magari, impegnarsi per rimediare a quell'illusione fiscale di cui è campione, ossia le strategie tanto legali quanto oscene di minimizzare le imposte fiscali”. Nonostante la rivoluzione sociale e, di conseguenza, mentale che imprenditori formidabili hanno veicolato, Staglianò decostruisce la retorica più spessa e sfacciata della Silicon Valley, per cui il denaro sarebbe “inutile e volgare”, servendo soltanto a migliorare lo stato di salute del pianeta grazie ad altisonanti fondazioni umanitarie. Intanto per massimizzare i profitti di pochi la “gig economy” conduce le aziende a esternalizzare a più non posso, riducendo sia la proprietà dei mezzi di produzione del lavoro sia il numero dei dipendenti. Thatcheriani e impenitenti, i tre plutrocrati hanno dichiarato più volte che non possa esistere una società equa e organica al contempo, bensì un insieme di individui, e che loro siano individui migliori per i risultati ottenuti. Peccato che non si siano “fatti da soli”, ma abbiano ricevuto lauti aiuti statali; basti pensare all'esenzione di cui Amazon ha goduto per un ventennio risparmiando quasi il 9% sulle sales taxes statunitensi, grazie a una clausola legale, non essendoci un nesso geografico con i luoghi a cui vendevano per corrispondenza.


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